Chiudere il mercato del Sacrario è un errore

La decisione di chiudere il mercato del Sacrario è grave e distrugge uno spazio di socialità consolidato di Viterbo in cambio di una visione distorta dello sviluppo turistico.

La seconda commissione comunale ha approvato lo spostamento del mercato settimanale del Sacrario per portarlo al Carmine, fuori dal centro storico. Questa decisione viene motivata con ragioni labili dal punto di vista delle scelte urbanistiche generali e con l’idea di riportare il mercato all’interno delle mura nel 2021. Ora, mentre lo spostamento è certo, il suo ritorno sarà rimandato a un momento futuro e non si comprende bene perché, se tra un anno si può trovare una collocazione in centro, ci sia l’urgenza di spostarlo ora. 

Il mercato del sabato è uno spazio di socialità, nel centro storico, ormai stabile e consolidato da anni proprio nel punto di contatto tra il cosidetto salotto della città e il quartiere di San Faustino che viene sempre descritto, in modi esagerati, come una zona “difficile” della città: uno spazio di questo tipo si può annientare in un attimo ma per ricostruirlo richiede dei tempi molto lunghi; la scelta dell’ammistrazione comunale, per questo, ci sembra grave, tanto più per l’assenza di un progetto di città coerente. L’idea di base non è tanto quella di trovare una nuova collocazione ma di smantellare il mercato com’è ora per inseguire un’idea vaga di “qualità”: non un mercato popolare, ma un mercato per una figura quasi mitica di turista. 

Questa vicenda è un sintomo di un orientamento pericoloso: l’idea che alla crisi della città storica si debba rispondere con quella che potremmo definire, con una parola brutta, turistizzazione: un processo di svuotamento sociale e di significato per offrire il centro storico come una merce appetibile e vendibile, un processo che non cerca di risolvere la crisi della città storica, travandole un ruolo attivo come parte integrante della città e della sua vita, ma approfitta dello svuotamento causato dalla crisi per nutrirsi dei suoi resti. Non si tratta solo di un discorso culturale, ma di un processo economico reale basato sulla rendita che accresce le disuguaglianze e promuove una forma quasi parassitaria di economia. L’ironia della cosa è che, date le caratteristiche di Viterbo, questa idea di città come parco a tema per turisti ha buone probabilità di fallire e produrre l’ennesimo vorrei-ma-non-posso.

Per queste ragioni chiediamo che questo provvedimento sia sospeso e che si avvii un reale dibattito pubblico sulla città e sul suo sviluppo.

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