Tra Clermont Ferrand e Viterbo

Un’intervista a Anne Laure, una studentessa francese che ha fatto a Viterbo un tirocinio prendendo parte alle attività di Arci Solidarietà Viterbo Onlus

Anne Laure e Marguerite sono due studentesse francesi arrivate a Viterbo per fare un tirocinio in accordo con l’Istituto Universitario Progetto Uomo di Montefiascone, come parte del loro percorso all’Institut de Travail Social de la Région Auvergne. Grazie alla collaborazione con il docente Nicola Titta, entrambe hanno preso parte alle attività di Arci Solidarietà Viterbo, nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale ed umanitaria. 

Abbiamo parlato con Anne Laure, dopo che il periodo di tirocinio è terminato, a proposito della sua esperienza.

Quando sei arrivata qui a Viterbo?

Sono arrivata a fine aprile, il tirocinio è iniziato il 7 maggio; in Francia studio per diventare educatrice e ho scelto di fare un tirocinio in Italia.

Ci puoi raccontare qualcosa della tua esperienza con Arci Solidarietà Viterbo?

Qui ho avuto l’opportunità di seguire da vicino il funzionamento di un progetto di accoglienza diverso da quelli che conosco in Francia; ho potuto studiare come operano i settori legale, sociale e di integrazione.

In Francia avevi avuto delle esperienze con i richiedenti asilo?

Sì, con un’associazione che si occupa di aiutare gli stranieri con la richiesta di asilo, ma soprattutto chi si trova in strada.

Che differenze hai notato tra le modalità di accoglienza in Italia e Francia?

In Francia, per esempio, non abbiamo una “seconda accoglienza”: gli stranieri sono ospitati in strutture chiamate CADA [ndr. Centre d’accueil de demandeurs d’asile – Centri di accoglienza per richiedenti asilo] fino a quando ottengono i documenti; gli operatori fanno tutti anche da assistenti sociali, compresi noi educatori: non ho visto ruoli distinti come quelli che avete all’Arci; quando i richiedenti asilo ottengono i documenti il loro percorso di accoglienza termina.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Come hai trovato la situazione in Italia?

Vedo che qui la situazione politica sta diventando più difficile per gli stranieri e credo che presto le stesse cose possano accadere in Francia.

Pensi che in Francia ci sia minore diffidenza nei confronti degli stranieri?

Ora sì, ma si avverte già un cambiamento anche nelle politiche e nel governo.

Da che parte vieni della Francia?

Clermont Ferrand, nel centro.

C’è molta immigrazione lì?

Abbastanza, però non come a Lione o Parigi. Il dipartimento [Puy-de-Dôme, ndr] dove si trova Clermont-Ferrand, è un buon dipartimento, questo attira le persone.

Che esperienze hai fatto nei vari settori di Arci Solidarietà?

Ho iniziato con il settore legale, che mi ha consentito di capire come prima cosa le differenze tra i diversi tipi di protezione. Successivamente sono passata al settore integrazione che, devo dire, è quello che ho trovato più interessante: qui ho partecipato ai colloqui, accompagnato gli operatori ai centri per l’impiego, a scuola, all’anagrafe ma ho anche preso parte all’accoglienza iniziale: l’incontro alla presenza dell’interprete, la spiegazione delle regole e dei diritti degli ospiti, l’accompagnamento nelle abitazioni. Ho partecipato anche alle attività del settore sociale: l’accompagnamento dal medico, il monitoraggio delle case, le pratiche per iscrivere i bambini al nido. Ho anche preso parte alle riunioni di gruppo con gli operatori e le operatrici e ho frequentato la scuola di italiano dove ho seguito i corsi del mio livello. Valentina, l’insegnante, mi ha dato la possibilità di ottenere il certificato di conoscenza della lingua italiana (livello B1) in Francia e l’anno prossimo, forse, prenderò il B2. 

Ho notato che, in questo contesto, le relazioni tra le insegnanti e gli ospiti dei progetti di accoglienza sono, in un certo senso, diverse da quelle che si creano con gli operatori.

Diverse come?

Forse le persone accolte, a scuola, sono più “brave”, parlano di tante cose, si confrontano; io stessa ho potuto imparare molto sulle altre culture e sul rispetto: tutte cose che posso portare con me in Francia.

Gli studenti stranieri partecipano attivamente alle lezioni?

Sì, soprattutto quelli del livello B1, che conoscono meglio l’italiano, ma anche il gruppo che conosce meno la lingua, con persone analfabete, è molto curioso, fa domande e si impegna molto.

L’obiettivo dell’integrazione è quello di rendere le persone autonome con percorsi individualizzati in modo che, una volta uscite, siano in grado di orientarsi da sole; ma c’è anche un lato umano in questo rapporto tra operatrici e operatori, da un lato, e ospiti dei progetti dall’altro.

Nella mia esperienza qui ho visto operatori che si prendono cura dei bisogni degli ospiti dei progetti, li ascoltano, hanno pazienza e tengono conto delle diverse situazioni individuali per costruire insieme il loro percorso di integrazione: gli dedicano tutto il tempo necessario; in Francia, invece, si va sempre molto veloci.

Hai partecipato a qualche attività di socializzazione? Erano interessati a vedere i luoghi, a confrontarsi con la storia e la cultura italiana?

Sì, ho partecipato a una visita a Celleno insieme a un gruppo di beneficiari. Penso che siano attività molto importanti perché li stimolano a visitare i luoghi, a conoscere la cultura e la storia locale, poi c’è anche un altro aspetto altrettanto importante, secondo me, quello della socializzazione; sono momenti in cui si condivide il cibo a pranzo, ci si parla e ci si conosce.

Quando avrai finito gli studi cosa pensi di fare?

Onestamente, non so ancora. Prima di venire a Viterbo pensavo che, dopo la laurea, avrei lavorato con i bambini in difficoltà ma adesso, dopo questa esperienza, penso di voler lavorare con i figli di famiglie straniere.

Alla fine di questa esperienza sei soddisfatta?

Sì, molto. Ho fatto conoscenze importanti per me, sia dal punto di vista umano che culturale. E mi è piaciuta l’équipe: siete tutti gentili.

Tornerai in Italia?

Mi piacerebbe molto tornare per fare un’altra esperienza, sì.

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